La condizione connettiva

FILOSOFIA E ANTROPOLOGIA DEL METAVERSO

C’è un tempo per nascere e uno per morire, un tempo per piantare e un tempo per sbarbare il piantato, c’è un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per costruire e uno per demolire (Ecclesiaste, 3, 2)”. Il biblico elenco delle varie temporalità della vita prosegue per parecchi versi, come si sa. Chi scrive è koelet, o Qoelet, o anche Chohelet, come alcuni traslitterano. Koelet è figlio di Davide, re di Gerusalemme, ma qualunque sia l’identità reale o presunta dell’autore di questo testo che nella versione greca dei Settanta prende il nome di Ekklesiastes e nella vulgata di Ecclesiastes, cioè “colui che convoca un’assemblea o che presiede ad essa”, resta invariato il messaggio che esso tramanda da millenni: è inutile affannarsi, poiché tutto è illusione. Le preoccupazioni, le speranze, le afflizioni, gli amori, le ambizioni sono azzerate dalla finitudine dell’esistenza terrena.

Ogni cosa è dunque vanità. Ecco un messaggio ovvio, perfino banale, si dirà. Eppure, l’illusione fa parte della condizione umana. Ogni essere senziente spende tempo, energie e volontà in qualche intrapresa. Se così non fosse, la forza azzerante della lapalissiana verità di Quohelet avrebbe da tempo condotto la nostra specie all’estinzione. E invece, non soltanto la specie umana non si è estinta, ma tutto indica che essa si prepara a espandersi là dove la ragione porrebbe limiti invalicabili, ovvero nello spazio esterno. La ragione pone limiti a ogni pie’ sospinto, non certo l’immaginazione.

Da secoli tutte le arti narrative situano il destino della specie in un tempo e in uno spazio che non conoscono vincoli insuperabili. Espansione e sopravvivenza sono in realtà una e una sola forza generatrice. Là dove l’espansione si arresta, e dove si afferma un equilibrio omeostatico intangibile, in quello stesso istante inizia una potenziale decadenza. In molti punti del globo la specie umana si espande vertiginosamente, in altri sembra invece aver raggiunto il pericoloso equilibrio della stasi. In realtà, questa stessa stasi demografica ha tutto l’aspetto di un consolidamento, di una inimmaginabile concentrazione di energie psichiche e tecnologiche. Ogni concentrazione precede un’espansione violenta, talvolta perfino brutale e inumana.

Le statistiche dimostrano che la curva dell’incremento demografico mondiale cresce costantemente, ma seguendo un andamento progressivamente decrescente. Ciò significa che si sta naturalmente esaurendo l’effetto trainante delle tecnologie sviluppatesi fra il XIX e il XX secolo, e vuol dire inoltre che al processo di espansione mondiale si va lentamente sostituendo un processo di concentrazione mondiale, i cui catalizzatori sono i paesi a più alta potenzialità tecnologica e informazionale.

Di più. Forse esiste un nesso fra la quotidiana assunzione di informazione (e quindi fra l’aumentata consapevolezza delle cose del mondo) e il progressivo decremento delle nascite. Fenomeno che, appunto, riguarda come è noto i paesi ricchi e sviluppati, dove l’istruzione è estesa, capillare e policentrica e dove la coscienza critica comune è elevata. Forse dare la vita è davvero un atto fondamentalmente in-cosciente. Quanta parte dei fenomeni sociali diffusi dipende dal sistema dell’informazione? Certo, grazie a un secolo di cinema e a cinquanta anni di televisione, è accaduto che milioni di spettatori, non importa se atei o credenti, osservanti o indifferenti, hanno assorbito e metabolizzato le sentenze di Quohelet. L’occasione è sempre fornita dall’improvvisa, provvidenziale dipartita di qualche personaggio. Anche la scena è ormai un autentico stereotipo: la città sullo sfondo, visione panoramica di prati all’inglese, di cipressi, di cippi, carrellata dei vari personaggi riuniti intorno alla bara, zoomata sul sacerdote che immancabilmente recita l’Ecclesiaste, e infine primo piano sui volti dei parenti stretti o degli amici intimi del de cuius, commossi e affranti dalle parole dell’officiante.

Poi… tutti di nuovo a ballare!

Ma torniamo al testo. In esso alcuni commentatori riconoscono due differenti stime della temporalità umana. Da una parte c’è l’amara constatazione che ogni vivente attende la sua fine. Ed è, per così dire, l’ora della “grande morte”, quella vera, quella definitiva, almeno su questa terra. Ma dall’altra si riconosce anche una riflessione in tutto e per tutto esistenzialista: una meditazione sulla “piccola morte” che consuma gli istanti, una microscopica corruzione che si apre alla germinazione, cioè alla vita, poiché tutto ciò che passa lascia il posto a ciò che deve venire, che dunque non era, ma che, sia pure per poco, o per un quasi nulla, sarà. Nessun sentimento tragico può affiorare dal concetto buddista dell’“impermanenza”.

L’esperienza della transitorietà, ma anche quella correlata della ciclicità, è più spesso avvertita dagli umili che non dai potenti, questi ultimi presi come sono dalle loro grandi vicende. La ciclicità (la regolarità delle strutture viventi, della stessa materia, la presenza di ritmi in ogni cosa) suggerisce che la provvisorietà della vita è soltanto una legittima ma pur sempre parziale visione delle cose. Più sostanziale è forse il fatto che il mutamento possa a sua volta essere quanto la nostra struttura psicofisica e neurologica percepisce all’interno, cioè nella partizione di un ritmo che coinvolge regolarità di ordine progressivamente inferiore o superiore, cosicché il mutamento dei ritmi, la trasformazione dei cicli in nuove e spesso più complesse periodicità, obbedisce a un impulso universale che abbraccia l’intera scala degli enti, dalle particelle subatomiche ai grandi ammassi stellari.

Se ciò è plausibile, ne deriva che anche gli organismi sociali sono coinvolti in questa ritmica ascensione scalare. Per esempio, che genere di regolarità si cela nelle nuove strutture informazionali? E che tipo di ciclicità psichica, economica, sensoriale, intellettiva essa promuove e produce?

La concentrazione e l’affinamento di capacità sensoriali non innate si “esternalizza” dei prodotti culturali. Com’è noto, l’antropologo André Leroi-Gourhan fu tra i primi a studiare il profondo nesso fra il processo di ominazione e la produzione di utensili tecnologicamente sempre più raffinati. Chi intraprende questo cammino si trova inevitabilmente a dover fare i conti con una duplice ipotesi antropologica: c’è un limite oltre il quale gli strumenti tecnologici che sostituiscono determinate funzioni psicomotorie rendono obsoleto il soma che le ha generate. Questo vale non soltanto per i prodotti materiali, ma anche per quei prodotti spirituali che si traducono nella memoria esterna, nelle sempre più sofisticate facoltà comunicazionali a distanza e infine in quelle tecnologie computerizzate che sembrano in grado di sostituire, e vantaggiosamente, intere parti delle nostre facoltà superiori.

I prodotti materiali, tangibili, inequivocabili, si sono sempre prestati meglio degli altri alla dimostrazione. Il mancato adattamento specialistico degli ominidi implicò il fatto che l’uomo che cavalcò per primo il cavallo divenne esso stesso cavallo, ovvero veloce e possente come un cavallo per tutto il tempo della cavalcata. E l’uomo che indossò una corazza metallica simile al clipeo della tartaruga divenne una tartaruga, cioè relativamente invulnerabile come una tartaruga per tutto il tempo in cui indossava la panoplia (Leroi-Gourhan, 1965, 289).

L’evoluzione tecnologica tende sempre alla convergenza. Le competenze e le invenzioni le più varie si fondono in nuovi ritrovati, che però non soltanto contengono le qualità degli elementi di origine ma anche qualcosa in più, poiché nella sintesi si cela il seme di un ordine sempre superiore ai suoi presupposti. Analogamente, l’invenzione dell’automobile creò la sintesi fra la potenza motrice del cavallo e la corazza del guerriero medioevale. Non stupisce se il fascino dell’automobile consista sempre nel senso di illimitata libertà, di invincibilità e di invulnerabilità che essa comunica anche all’autista più esperto e disilluso. Quando l’automobile sarà in grado di volare, e quando essa sarà teleguidata dagli invisibili fili di una frenetica rete di controllo satellitare del traffico mondiale, essa probabilmente comunicherà ai nostri discendenti qualcosa di simile a ciò che si prova inserendo il pilota automatico in un aviogetto. Ma sarà una sintesi diversa.

Ora, non soltanto le nuove facoltà fisiche della specie sono palesemente incarnate in prodotti tecnologici sempre più esternalizzati, come i satelliti o come le sonde interplanetarie automatiche, ma sempre più esternalizzate sono le facoltà psichiche tipiche della specie. L’abbondante letteratura relativa alla storia della scrittura e ai vari sistemi di immagazzinamento della memoria consente oggi di capire nei dettagli che cosa è accaduto dall’invenzione dei gettoni di argilla, i cosiddetti pièces de comptabilité rinvenuti nei livelli proto-elamiti di Susa (Goody, 1986, 60), fino alla creazione dei moderni database che costituiscono la materia prima della trama universale della memoria in rete. Ma la memoria esterna è soltanto una delle nuove facoltà della specie. Lo sviluppo accelerato dei sistemi di decodifica automatica e semantica dei lemmi e dei sintagmi implica che la memoria esterna tende a essere sempre meno un serbatoio passivo di dati impilati l’uno sull’altro, sia pure in immateriali bit e non in atomi.

Al contrario, molti dei programmi che si studiano nei centri avanzati di ricerca mirano alla creazione di sistemi capaci di sollevare gli individui dal compito della selezione intenzionale dei dati rilevanti. Il che è paragonabile al funzionamento sincronizzato e in parallelo di varie aree corticali impegnate a svolgere compiti complessi. Dunque, siamo già a un secondo livello di esternalizzazione virtuale delle proprietà della mente. Solo in questo senso si può parlare di un’attività inconscia del Web. Non si tratta, però, di attività psichica, poiché in tutto questo non vi è coscienza.

E con ciò mi avvicino al senso di questo volume, il cui oggetto è la “condizione connettiva”. Questa condizione sembra obbedire a una legge dei minimi e dei massimi. Da una parte l’avvento e la vertiginosa espansione del Web, che ha prodotto un nuovo modo di temporizzare eventi, memorie e segni. Dall’altra l’emergere di una esperienza connettiva si consuma quasi esclusivamente nel flusso della quotidianità.

Seguendo Quohelet, c’è un tempo per ogni cosa, ma nella condizione connettiva ciascuna di queste minuscole partizioni temporali soggiace a una funzione computante di ordine differente. Se il senso collettivo del tempo, della finitudine personale, della quantificazione storica dei grandi eventi è cambiato, in che modo esso è mutato? E poi, il tempo vissuto nella condizione connettiva ha la stessa qualità, lo stesso significato e produce gli stessi effetti del tempo “reale”? Forse il potenziale d’azione dell’Internet ha prodotto un’esperienza temporale che non soltanto si inserisce fra le pieghe delle consuete attività umane, ma che in qualche misura vi si sovrappone.

Certo, la vita umana ha dei limiti temporali intrinseci. La giornata è composta da ventiquattro ore, da millequattrocentoquaranta minuti primi, da ottantaseimilaquattrocento minuti secondi e via discorrendo. Alcune ore sono destinate al sonno, altre alla preparazione e alla consumazione del cibo, altre allo studio o al lavoro, e altre ancora ai viaggi, allo shopping, alla discoteca, agli amici, alla chitarra, allo spinello, allo sport e via di questo passo.

Si esagera quando si immagina il popolo degli internauti incollato ai monitor per buona parte della giornata. Però, è anche vero che il tempo dedicato alla vita connettiva, all’esperienza connettiva, al lavoro connettivo, è una quantità che mano a mano si espande, e ciò a cagione del fatto che la crescente vastità, complessità e onnicomprensività dell’Internet incoraggia forme sempre nuove di utenza. Ora, una realtà che si dimostra capace di inserirsi, e progressivamente di conquistasi i vari tempi della vita quotidiana è con ogni evidenza espressione di una evoluzione. L’espansione del Web non è soltanto frutto della somma dei desideri individuali dei cittadini-consumatori, né l’espressione della morbosa curiosità of the people, della gente.

L’ipotesi contenuta in questo libro si può ridurre un po’ a fatica a quanto segue: il processo di esternalizzazione iniziato dal primo Antropiano (e mai interrotto) oggi inizia a modificare anche aspetti della vita umana che sembravano fino a ieri al riparo da ogni alterazione. L’imponderabile, indecifrabile sfera intima dei sentimenti, delle pulsioni, delle paure, dei desideri umani (territorio di caccia dei poeti, dei romanzieri e degli psicanalisti) si esternalizza al pari della memoria e delle altre facoltà procedurali. Ciò avviene grazie a un massiccio trasferimento delle tracce psichiche individuali dal mondo dei legami interpersonali all’universo dei pulviscolari fluidi virtuali, laddove esse entrano automaticamente in reciproca comunicazione.

Accanto a un trasferimento per così dire “dal basso”, si assiste anche a un’emanazione “dall’alto”, per così dire. Quest’ultima corrisponde a movimenti meno visibili ma molto incisivi, che provengono dalle grandi aziende, ma soprattutto dalle pubbliche amministrazioni. L’informatizzazione sempre più complessa e accelerata della pubblica amministrazione sta creando le basi per una nuovo tipo di cittadinanza, quindi per un nuovo senso della comunità, il quale trascende i limiti simbolici del passato, ma imponendo anche nuovi e può stringenti vincoli, con buona pace degli ingenui assertori della rete quale matrice di ogni concepibile libertà.

Quali sono gli effetti psicologici e sociali di una siffatta affiorante coscienza civica connettiva? Come interpretare la formazione di legami invisibili ma indistruttibili che connettono il cittadino alle istituzioni in modi mai prima sperimentati? Anche questo è un modo per essere online, non soltanto de facto, ma anche e soprattutto de jure. Però, questo libro si limita a sfiorare il primo dei due movimenti convergenti.

La condizione connettiva sta lentamente ma progressivamente soppiantando le altre e più antiche modalità dell’interazione sociale. Ma perché? Innanzi tutto perché è vantaggiosa. Poi perché è allettante, piacevole, divertente. E infine perché è comoda. Il fatto che il Web perda sempre più l’aspetto di uno strumento per trasformarsi in un habitat strutturato e immensamente complesso suggerisce che esso stia mano a mano producendo una autentica rivoluzione del modo stesso di concepire il lavoro, il tempo libero, lo spazio, la politica. Su ciò qualcosa è stato scritto. Tuttavia, questa rivoluzione investe anche il modo di percepire il tempo personale e il tempo collettivo, il modo di intendere la vita e la morte, il senso della propria appartenenza culturale e quello della condivisione del destino della specie.

La condizione connettiva che si sperimenta nel metaverso è tutto questo e molto altro ancora. L’assente tematizzazione di quest’“altro” resta uno dei limiti del libro, il quale, però, si propone di esplorare il potenziale d’azione del Web interpretando alcune esperienze umane universali, nella misura in cui esse vengono progressivamente trasmutate dalle ancora misteriose proprietà del virtuale in qualcosa di completamente nuovo. Dunque, innanzi tutto, il sesso e la morte, poi l’idea stessa della connettività. Ora, se l’antropologo, per sua natura, tende a insistere sul pulviscolo dei fatti, al contrario il filosofo non è contento se non si arrovella sulle cause e sugli effetti. La condizione connettiva è il terzo volume di una trilogia, iniziata con Millennio virtuale e proseguita con La razza stellare. Filosofia e antropologia dell’ultramodernità. Ebbene, dei tre questo libro è il meno sociologico e, si spera, il più filosofico. Esso lascia quindi ampio spazio soprattutto alle riflessioni, alle libere associazioni e alle ipotesi, in un certo senso alle plausibili finalità evolutive di questa realtà neonata che è il metaverso. Una realtà che, forse, contribuirà a proiettare the race of mortals in uno spazio-tempo fisico e mentale senza confini.

 PREMESSA

a.D.MM: PRIMI PASSI SUL PIANETA TERZO MILLENNIO

1.1 Il massimo Media Event nella storia delle comunicazioni elettroniche

1.2 Millennio delle masse e delle forze incontrollabili

1.3 Secolo vs. Millennio

1.4 Metabásis eis állo ghénos

1.5 Crescete e moltiplicatevi… in specie

CIMITERI DI PIETRA E CIMITERI VIRTUALI

2.1 Morte virtuale

2.2 Virtù della morte: il passato

2.3 Virtù della morte: il presente

2.4 Di quella pira l’orrendo foco/tutte le fibre ottiche arse e avvampò

2.5 La morte eco dell’identità

– LA MORTE NELLA CONDIZIONE CONNETTIVA

3.1 Requiescant in pace: l’elisione del senso della morte

3.2 La morte dell’eroe

3.3 Crioideologia ed eutamnesia

3.4 Eppur… si muta

FENOMENOLOGIA DELLA TELEDILDONICA

4.1 Pornografia e virtualità

4.2 “Orgoni” in libertà

4.3 Dall’arte alla pornoarte

4.4 Pornosimulacri e pornosimulazioni

4.5 Confini della teledildonica

4.6 Proiezioni pornopsichiche

UN NEOHABITAT PER UNA NEOSPECIE

5.1 Premessa storico-estetica

5.2 Connessionisti e connettivisti

5.3 Alcune ipotesi sulla natura della mente

5.4 Un modello di speciazione umana

5.5 Il tema delle gerarchie

5.6 Verso una noesi antropica

L’ULTIMO VIAGGIO DI ULISSE

6.1 Megalopoli e arche stellari

6.2 Scale sempre ascensionali

6.3 L’ipotesi Rama